Da Gargantua e Pantagruele, Libro III, Capitolo XXXVI
Continuazione delle risposte di Mastro Intruglia, filosofo efettico[1] e pirronista
(trad. Augusto Frassineti, Gorilla Sapiens Edizioni 2018)
«Voi parlate armonioso come un organo» disse Panurgo, «ma io credo di essere sprofondato nel pozzo tenebroso nel quale, diceva Eraclito, si nasconde la verità. Io non ci vedo un accidente, non ci capisco niente, mi sento tutto inebetito e temo fortemente di essere affatturato. Parlerò in altro stile. Non vi muovete, fedele amico; non intascate la posta; cambiamo il mazzo, rifacciamo la mano e parliamo senza disgiuntive, perché, a quanto vedo, queste frasi mal congiunte vi seccano. Dunque, in nome di Dio, devo sposarmi?»
Intruglia: «Parrebbe».
Panurgo: «Se invece non mi sposo?»
Int. «Non ci vedo inconveniente».
Pan. «Proprio nessuno?»
Int. «Nessuno, se la vista non m’inganna».
Pan. «Io ce ne vedo più di cinquecento».
Int. «Enumerateli».
Pan. «Ho detto per dire. Ho preso il certo per l’incerto e il definito per l’indefinito. Volevo dire molti».
Int. «Vi ascolto».
Pan. «Io non posso fare a meno della moglie, per tutti i diavoli».
Int. «Lasciamo stare queste brutte bestie».
Pan. «Per Iddio, allora! Perché i miei Guazzettesi dicono che coricarsi da soli, cioè senza moglie è una vita da bestie; e lo diceva anche Didone nelle sue lamentazioni».
Int. «Ai vostri ordini».
Pan. «Corpo di Dio, son proprio sistemato! Ma insomma, devo sposarmi?»
Int. «Forse».
Pan. «Mi andrà bene?»
Int. «Dipende dall’incontro».
Pan. «Se incontro bene, come spero, sarò felice?»
Int. «Abbastanza».
Pan. «Voltiamola a contropelo: e se incontro male?»
Int. «Me ne scuso».
Pan. «Ma insomma, consigliatemi. Ditemi cosa devo fare».
Int. «Quello che vorrete».
Pan. «Patapim patapà».
Int. «Non imprecate, ve ne prego».
Pan. «E allora sia detto in nome di Dio. Io non voglio fare altro che seguire il vostro consiglio. Cosa mi consigliate?»
Int. «Niente».
Pan. «Mi ammoglierò?»
Int. «Io non c’ero».
Pan. «Non mi ammoglierò, allora?»
Int. «Ho detto».
Pan. «Se non mi sposo, sarò cornuto?»
Int. «Ci stavo pensando».
Pan. «Mettiamo il caso che io sia sposato».
Int. «Dove lo mettiamo?»
Pan. «Volevo dire, facciamo il caso».
Int. «Non faccio casi. Ho ben altro da fare».
Pan. «Merda al mio naso! Già! Se riuscissi a tirar qualche moccolo in sordina, mi sentirei molto meglio! Basta, pazienza! Dunque, se mi sposassi, sarei cornuto?»
Int. «Si direbbe».
Pan. «Ma se mia moglie è onesta e casta, sarò cornuto lo stesso?»
Int. «Mi sembra corretto».
Pan. «Statemi a sentire».
Int. «Finché vorrete».
Pan. «Sarà onesta e casta?»
Int. «Ne dubito».
Pan. «L’avete mai veduta?»
Int. «No, ch’io mi sappia».
Pan. «E perché dubitate di una cosa che non conoscete?»
Int. «Ho un motivo».
Pan. «E se la conosceste».
Int. «Ne avrei due».
Pan. «Paggio, angelo mio, prendi il mio berretto, te lo regalo, salvo gli occhiali, e va in cortile a bestemmiare una mezz’oretta per conto mio. Io bestemmierò per te quando vorrai. Ma chi, chi mi farà becco?»
Int. «Qualcuno».
Pan. «Ventre d’un bue di legno! Ma io gli torco il collo a questo signor qualcuno!»
Int. «Lo dite».
Pan. «Che il diavolo nero, quello che non ha bianco nemmeno il bianco degli occhi, mi porti via seco lui, se ogni volta che esco dal mio serraglio non metto a mia moglie la cintura alla bergamasca!»
Int. «Parlate meglio».
Pan. «Sì, se non mi s’ingorga il gargarozzo. Ma veniamo a qualche conclusione».
Int. «Nulla in contrario».
Pan. «Aspettate. Poiché da questa parte non riesco a tirar sangue, credo che vi salasserò da un’altra vena. Siete ammogliato, voi, o no?»
Int. «Né l’una né l’altra e le due insieme».
Pan. «Che Dio ci aiuti. Io sudo e trangoscio, e sento che mi si ferma la digestione. Tutti i miei spiriti precordi e diaframmi sono tesi e sospesi nello sforzo di incornifistibulare nel carniere dell’intendimento ciò che dite e rispondete».
Int. «La cosa non mi disturba».
Pan. «Arrilà, fedel nostro fedelissimo, siete voi coniugato?»
Int. «Così mi sembra».
Pan. «E lo foste già altra volta?»
Int. «È possibile».
Pan. «Ve ne trovaste bene la prima volta?»
Int. «Non è impossibile».
Pan. «E questa seconda volta, come va?»
Int. «Come è scritto nel mio destino».
Pan. «Ma insomma, a ragion veduta, potete dire di trovarvi bene?»
Int. «È verosimile».
Pan. «In nome di Dio e del fardello di San Cristoforo! Giuro che avrei fatto meglio a cercare di cavar peti da un asino morto che una conclusione da voi. Ma questa volta vi tengo. Avanti, fedelissimo nostro, rompiamo le corna al Diavolo d’inferno e confessiamo la verità. Siete mai stato cornuto? No, non parlo a quello là che gioca a palla in cortile: parlo a voi che siete qui. Ripeto: siete mai stato cornuto?»
Int. «No, se non era scritto».
Pan. «Per la carne, rinnego! per il sangue, ripudio! per il corpo rinuncio! È inutile: questo qui mi sguscia via come un’anguilla».
A queste parole, Gargantua si levò e disse:
«Lodato sia il buon Dio in ogni cosa. A quel che vedo il mondo ha fatto strada da quando l’ho conosciuto la prima volta. A questo siam giunti, che oggidì anche i filosofi più dotti e prudenti sono entrati nel frontisterio e nella scuola dei pirroniani, aporetici, scettici ed efettici! Lodato sia il buon Dio. Veramente, d’ora in avanti si potran prendere i leoni per il ciuffo, i cavalli per la criniera, i buoi per le corna, i bufali per il muso, i lupi per la coda, le capre per la barba, gli uccelli per i piedi, ma non siffatti filosofi per le loro parole. Addio, miei buoni amici». Detto questo, lasciò la compagnia. Pantagruele e gli altri volevano seguirlo, ma egli non lo permise.

NOTE
[1] Che non afferma e non nega.