“Pelo” di Giuseppe Fiore

È il mio cucciolo, dice. La casa, in campagna, un weekend di tre giorni. Ci frequentiamo da tre mesi, più o meno. Non posso tenerlo sempre con me perché abbiamo avuto già vari casini. Avvicina il muso peloso al suo volto, lei lo bacia, lui tira fuori la lingua e le lecca tra guancia e labbra. È un animale incredibile, ha sempre fame. Le due ciotole verdi sono piene di pezzetti di roba, credo croccantini. Si chiama Achille. Penso al tallone. Lui ha le due zampe anteriori poggiate sulle gambe di lei, il muso in direzione della vagina. Lei continua a carezzargli il pelo sulla pancia, gli fa il solletico. Vado a prendere la pallina, dice. Annuisco. Rimaniamo io e lui. Della bava comincia a scendergli dalla bocca. Chiazze si formano sul terreno. Un ringhio basso, i suoi occhi sui miei. Piega di poco le gambe, poi la testa. Parte la corsa e salta su di me. Io urlo una specie di bestemmia. Mi ritrovo a terra, in un terriccio simile al fango, con tre zampe su quattro addosso. Lei arriva ridendo. Lancia la pallina lontano. Lui, prima di correre via, mi lancia un’altra occhiata che fa lo stesso effetto di un ruggito. Lei mi alza. Vuole sempre giocare, dice. Non dico nulla, ho i pantaloni sporchi sul culo e sul resto del dietro coscia. Passa molto tempo da solo, così quando vede persone ha una voglia repressa di divertirsi. Vorrei sorriderle, non riesco. Entro dentro dicendo che vado a cambiarmi.

Ceniamo in una sala grande, con un tavolo in legno grosso e lucido. Un servizio di piatti che mi ricorda quei film russi in cui si balla nei castelli. Sarà ricca davvero. Siamo a fianco. La tovaglia copre tutto il tavolo, i due piatti però ne occupano meno di un quarto.Una candela al centro. L’ha voluta lei, fa atmosfera. Lui è steso per terra tra noi. Aspetta che gli lanciamo gli avanzi, dice. A Natale, quando facciamo il cenone, gironzola di continuo tra i piedi di tutti. Non abbiamo nemmeno bisogno dell’immondizia, butta giù di tutto. Sorride, annuisco. Mangiamo. Lei lascia una buona parte del suo cibo e la fa cadere dal tavolo, per poi osservare lui che sbrana. Io finisco tutto, faccio anche la scarpetta con il pane. Mi chiede se voglio un digestivo, qualcosa di forte, dice. Annuisco. Aspetta qui. Si alza. Lui è ancora steso che tira via della carne da un ossicino. Lo osservo. Per un attimo, solo il tempo di risentire i passi di lei che tornano verso il tavolo, l’ombra proiettata dalla luce della candela mi ricorda quella di un uomo seduto a quattro zampe, senza coda, con le gambe piegate in due.

Vediamo un film con un proiettore. Ci sistemiamo sul divano. È lungo e possiamo stendere le gambe. Ci mettiamo sotto un’unica coperta celeste. Ci baciamo per un po’, il film scorre. Sento lui arrivare perché i suoi passi sono pesanti, le unghie striscianoil pavimento. Fa una specie di verso e salta sul divano. Lei lo afferra, lo fa stendere sulle gambe. Il suo pelo mi tocca, allora mi sposto. Mi alzo e vado verso la finestra per fumare. Lei gli fa le coccole per tutto il tempo. Il film fa schifo. Quando finisco di fumare torno a sedermi. Lui, con la testa sulle sue gambe, mi fissa. Per un attimo guardo la mano di lei e mi sembra intrecciata alla mano di un altro. Sparisce subito.

Dormo da un paio d’ore. Sogno di essere rincorso in una città simile a Gotham, in distruzione. A un tratto però, nel sogno, mi spariscono le gambe e rimane solo il busto sul terreno. Continuo a eseguire il movimento con le braccia, ma rimango immobile. Mi sveglio col fiatone. La luna è in cielo, illumina. Mi giro per guardare lei e lancio un urlo. Due corpi stesi di fianco a me. Mi alzo e sento il respiro aggrapparsi in gola per salire. Il suo bacino è integrato nell’insenatura creata dal corpo di lui, girato di lato, si compensano a vicenda. Che c’è? Chiede lei. Io continuo a indicare il letto, il suo lato. Poi vedo lui. Il suo pelo, i suoi denti, la sua bava sempre pronta a venir giù. È un brutto sogno, dice lei. Si alza, mi carezza la testa, lascia scivolare la mano sui miei capelli. Ho ancora il fiatone. Mi fa sedere sul letto. Guardo la luna, mi concentro sul respiro. È solo un brutto sogno, dice. Viene sempre a dormire con noi quando ci siamo, rimane solo per settimane. Sento il suo respiro dietro di me.    

Steso su un lettino cerco di recuperare un po’ di sonno. La piscina è bella, pulita. Lei ha i piedi a mollo e legge un giornale. Io cerco l’ombra. L’immagine di quell’uomo non ha smesso di tormentarmi per l’intera notte. Sono rimasto steso con il suo fiato addosso. Devo tranquillizzarmi e tornare a godermi questi giorni con lei. Ci siamo conosciuti in modo casuale, nessun amico in comune, nessuna pressione addosso. Sento le sue unghia sul pavimento. Lei lo prende dal muso. Buttati, gli dice, buttati. Lui prende la rincorsa e si lancia. L’impatto con la distesa provoca goccioline volanti che mi bagnano le gambe. Lei ride. Lui si muove un po’ nell’acqua. Lei lo raggiunge, lo tocca, lo abbraccia. Poi esce, si siede al sole. Lui rimane dentro la piscina e, poco alla volta, si avvicina all’uscita. Vedo un uomo, muscolo, aggrapparsi al bordo e venirne fuori. Rimango immobile. L’uomo mi fissa. Chiudo gli occhi, conto cinque secondi, li riapro. Lui, con il pelo bagnato, è steso a terra. Mi tremano le gambe.

Siamo stesi al sole, mangiamo panini. Mi sento stanco. Ho mal di testa. Metti la testa tra le mie braccia, ti faccio dei massaggi, dice. Eseguo, mi carezza la testa, mi dà piccoli baci sopra e sotto l’orecchio. Sento peli in bocca. Mi addormento.

Sogno di essere in una caverna gigante. Ci sono tanti animali, di tutti i generi. Io cerco la via d’uscita, ma più mi muovo più la sento lontana. Chiamo qualcuno, più volte, mi siedo, mi sento solo. Ci sono i serpenti, sento strisciare. Corro via.

Mi sveglio. Sono ancora sul lettino, lei non c’è. Il sole si sta abbassando. Intontito mi guardo intorno, ho ancora immagini vivide del sogno. Sul muro esterno della casa, un’ombra. Ancora un uomo posizionato a quattro zampe. Mi muovo verso di lui. Vedo lei che tiene tra le mani la faccia di un ragazzo. Gli dà baci vicino la bocca, sulla bocca, sul naso, ovunque. Rimango fermo per un paio di minuti a osservare. Cosa mi succede? Poi lei mi vede, sorride. Viene verso di me, prende la mia testa tra le mani, comincia a baciarmi, con sempre più foga. Io ricambio, finché non sento qualcosa. Un lungo pelo che passa dalla sua bocca alla mia. Mi sale un conato di vomito, la allontano e per due volte sento il liquido salire con prepotenza su, verso la gola e fermarsi poco prima. Tolgo via questo pelo facendolo scorrere dalla mia gola, ne sento altri mille che galleggiano nella mia saliva. Vedo lui che guarda la scena, sento che se la ride, che ci gode. Allora vado con passo deciso. È un uomo, con uno schiaffo gli colpisco il volto. Sento il clap prodotto dalla pelle che si scontra con altra pelle. Poi sento ringhiare, le sue unghie nella mia pancia. Le urla di lei che divide. Sei pazzo, urla, tu sei pazzo. Come ti permetti. Intanto abbraccia lui, lo accarezza, cerca di calmarlo. Io mi alzo. Non è quello che sembra, dico, è un uomo, lui dorme con te, ti bacia, ti scopa di notte, urlo. Dopo le mie parole sembra che tutto, intorno a noi, si fermi. Lei mi fissa. Anche lui non ringhia più, non fa rumore. Per un secondo penso che questo silenzio sia dovuto alla verità, al fatto che ho ragione, che c’è qualcosa sotto. Poi lei si mette a ridere e io vado dentro. Sbatto la porta e salgo per farmi la valigia.

Prendo le poche robe che ho disseminato nella stanza. Sbatto tutto con forza. Voglio andare via, scappare da questo posto. Ancora qualche conato di vomito continua a salire. Vado in bagno. Vomito. Questa volta per davvero un liquido giallastro viene fuori. Lo osservo raggrumarsi nel lavandino, per scendere verso lo scarico. Peli ovunque. La mia saliva, il mio vomito sono pieni di peli. Caccio un urlo di rabbia. Do un pugno sulla parete così forte da sanguinare. Mi guardo allo specchio e ho paura di trasformarmi, di star diventando prigioniero come quell’uomo che vedo ovunque. Torno in camera. Sento la bocca piena di pelo, sputo di continuo, sento di avere un intero tappeto bloccato in gola.

Lei sale, non ride più. Fai sul serio? Chiede. Non rispondo. È una strega. Lui la segue passo passo. Lo guardo, solita bava pronta a scendere. Chiudo la valigia. Ti rendi conto? Dice ancora. Continuo a sputare. I peli galleggiano in aria, ovunque. Per un attimo, gli ultimi raggi del sole penetrano dalla finestra e la stanza si riempie di luci, guardo la sua ombra, è quella di un uomo. La indico. È un uomo, dico. Lei si gira. Mi prendi per il culo? Scuoto la testa. Continuo a cercare roba, anche se sono certo di aver preso tutto. È di famiglia, è qui da sempre, dice. Fa un verso simile a un miagolio. Sei pazzo. Allora mi giro verso di lei. Non ti permettere, dico. Mi infilo la mano in bocca e cerco di tirare via qualcosa. Guarda. Le mostro la mano. Dita piena di bava, neanche un pelo. Lui ringhia e si mette a protezione tra me e lei. Cosa dovrei vedere? La guardo. Peli, ci sono peli ovunque nella mia bocca, urlo. Sei davvero geloso? Dice. Scuoto la testa. Non sono mai stato geloso di nessuno. Prendo la valigia. Continuo a mettermi le dita in bocca per tirare fuori peli, ma sembra che il tappeto sia finito o che l’abbia ingoiato del tutto. Scendo giù. Cerco in giro qualcosa. Lei mi segue. Ma che fai? Dice. Sei paranoico. Mi siedo sul divano. Metto per tre volte le mani in bocca, nulla. Mi gira la testa, mi viene da piangere.

Infilo la testa tra le sue braccia. Mi accarezza. Rimaniamo così a lungo. Mi accarezza dietro l’orecchio, vicino la bocca, sul naso. Mi dà piccoli bacini in punti strani del mio viso. Mi accarezza la pancia, poi la schiena e su entrambi i lati del mio corpo. Sento la bocca sempre piena di peli. Sento un forte dolore alle unghie dei piedi e delle mani.

Giuseppe Fiore

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