“Lo screzio” di Cristina Pasqua

Che l’aria si tagliasse con il coltello era cosa certa. Non era paura, era disfatta. Lo screzio era iniziato per caso. Era una giornata di freddo livido e ossa guaste. Pioveva da giorni. Il fiume, gonfio e tormentato, si stava portando via tutto, i campi, le baracche e, tra gli sterpi e i ratti che risalivano a fatica la corrente, il corpo sfasciato di Severi.
Tre giorni prima, dall’ultimo banco, il Faina lo aveva provocato. «Scommetti, Fosso, che non ti regge la pompa?»
«Scommetti che sì?»
Difatti il Fosso, percorso il tratturo dilavato, aggirato il maneggio, i rovi e l’orto fradicio, bussò alla porta. A vederlo incorniciato tra gli infissi sbilenchi, Severi ebbe un sussulto. Era a letto, bruciava di febbre, ed era solo, madre morta e padre al maneggio per il parto di una giumenta. La sporcizia del tugurio costrinse il Fosso a un passo indietro.
«Vieni avanti» disse invece quello mentre a fatica abbandonava il letto. «Che t’offro?»
«Niente, vado via subito.»
«Perché sei qui?»
«Una scommessa.»
Delirio forse, sicuro dispiacere, il malato gli mise le mani al collo e lo sbatacchiò in un angolo. Il Fosso si difese, la porta si spalancò e ruzzolarono fuori, nel fango e nel vento, tra le canne e l’erba marcia, fino al greto, dove lo colpì duro. Severi perse l’equilibro, scivolò, cercò invano di aggrapparsi a un tronco viscido e sparì nell’acqua grigia. Il Fosso lo seguì per un tratto. Quando non lo vide più, risalì il pendio.

Cristina Pasqua

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