Faccio una lavatrice, faccio un’altra lavatrice. Questa cosa mi conforta. È rimasta l’unica soddisfazione, senza scherzi. Oggi i bianchi, e va bene. Ma i miei preferiti sono i colorati e ogni volta che si ripete il miracolo di tirarli fuori ciascuno col suo preciso colore originale, forse appena un po’ sbiadito, che soddisfazione, dico io.
Ma nessuno mi risponde. È snervante. No, anzi, è maleducato, dico io. Dico poi sono una persona sensibile io, ci resto male e ogni volta mi ripeto basta, non chiamo più, aspetto che chiamino loro. O almeno un messaggio. E invece nulla, e ci ricasco. Sono una persona sentimentale, e ci ricasco. Provo a chiamare, provo a scrivere. Mai uno che risponda, se rispondono è tutto stringato, una concessione pare, una grazia. Proprio non capisco, vorrei un confronto al limite un affronto, ma almeno sapere.
Ecco.
“Senti, Ale” mi fa, con un tono mezzo esasperato e mezzo conciliante, come se avesse raccolto tutta la pazienza residua e la stesse concentrando in un unico colpo finale.
“Senti, Ale” mi fa, “per me, per noi, lo sai, non c’è problema. Non ci sarebbe, ecco.”
Ecco.
“Ma io lo dico per te. Non ti fa bene, non è normale. Scrivi, chiami, e poi tutte quelle lavatrici che fai. Lo capisci, no?”
Ecco…
“Ecco, Ale… Ale, sono sei mesi che sei morta. Ma tu continui come se niente fosse… Forse, forse è il caso che vai.”
Ecco. Ma io son d’accordo, ma io, per carità, eccome se andrei.
Solo, non so da che parte cominciare.
Alessandra Serpi
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