Il cancro nel mio seno era bianco.
Ho sentito la dottoressa mentre mi rovistava nella carne, nel mio bel seno morbido, il seno della madre che non sarò mai, il seno che ha consolato bambini e uomini in ugual numero ma diversa maniera.
L’ago mi faceva male, il seno troppo grande per reggere l’anestesia tanto a lungo, e lei toglieva pezzi di me.
Ha detto giallo è grasso, bianco è tumore.
Io ho sbirciato, come da piccola, tra le dita, e ho visto giallo, era giallo, era un pezzo di me.
Poi ha rovistato ancora, come a stanare una bestia tenace, e ha estratto il ferro, e in cima c’era un altro pezzo di me, ed era bianco
Bianco
Bianco.
Quando, sei anni dopo, mi hanno bucato le ossa, io mi sono tirata su, ubriaca di anestetico, un’altra persona sarebbe morta, o in coma, ma io no, io mi sono seduta e ho riso perché per la prima volta in sei mesi non sentivo dolore, e ho chiesto all’infermiera
Ma è come per il seno? Voi lo vedete se il tessuto è diverso, se sul mio osso c’è il cancro?
Lei ha esitato.
Io no.
So che non può dirmi se ho il cancro alle ossa. Voglio solo sapere se voi lo riconoscete, quando lo tirate fuori.
Lei ha abbassato lo sguardo. Ha detto sì.
E io le ho risposto
Tanto mi basta.
E le ho voluto bene, anche se la mia testa diceva solo
Bianco
Bianco
Bianco.
Selvaggia C Serini
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