Chi credi di essere per decidere dei nostri giga? Hai detto.
E io, in modo totalmente inaspettato, mi sono alzato dal divano.
Anche tu ti sei alzata e hai dato un calcetto stizzito a una sedia.
Io allora ho proprio tolto la presa dal muro.
Hai indicato il nostro giga, annerito e sgonfio ai piedi del tavolo.
Non possiamo andare avanti così, hai detto.
Scontriamoci una volta, approfittiamone, allora.
Ho sonno e non ho voglia, hai risposto.
Hai sempre sonno quando siamo senza giga.
Sì, ho sonno, guarda infatti: e ti sei addormentata.
E allora mi sono addormentato anche io, ma male, per terra.
La mattina – prima cosa – sono andato in soffitta.
I nostri giga sono una pila luccicante nascosta tra i vestiti di tua sorella scema.
Ne ho presi due, belli come pesche mature.
Stavi preparando un frullato e quando li hai visti hai avuto un sussulto.
Non potevamo andare avanti così, ho detto.
Hai bevuto il frullato e ci siamo seduti.
Abbiamo guardato qualcosa di cui non ci fregava nulla,
animali che si rincorrono e provano a mangiarsi.
I giga servono per queste cose, hai detto.
Per andare indietro nella Zambia del 1998 o nel 2001 più sintetico.
Poi mi hai sorriso.
Io ho sentito il mio respiro incagliarsi per un attimo nel torace.
Poi è passato e ho sorriso anche io.
Alla fine passa tutto, sempre, credo.
Walter Comoglio
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