Li privò di forza e figura propria,
riducendoli a meri riflessi servili.
Un giorno, tuttavia, essi si scuoteranno
da questo letargo magico.
J. L. Borges “Animali degli specchi”,
in Manuale di zoologia fantastica
La tortura peggiore è doverti fissare negli occhi quando tu mi guardi in faccia. Per il resto, ti spio, imparo le tue mosse, la tua vita; e tollero questa prigione di quattro lati, il rettangolo che definisce questo mio mondo a due dimensioni: il tuo specchio. L’altra cosa che mi disgusta è quando la notte, tu – carne e sudore – ti accoppi con quella creatura che hai vicino nel letto. Lei almeno ha avuto il buongusto di non creare un’altra sé da questo lato, non mi obbliga ad una compagna che non ho scelto.
A pensarci è affascinante: quando guardi qui dentro, cerchi un momento di verità che non trovi; e allora ti inganni e qui credi di riconoscere una tua immagine, artefatta, intravedi le tue ambizioni, quello che avresti potuto essere e non sei. Ti prendi in giro e non te ne accorgi nemmeno. E ci credi così tanto da darmi vita con il solo potere dell’immaginazione, del desiderio di essere altrove, qualcun altro. Ma per quanto rispetto abbia di me, non ne sono lusingato: in fondo anche io sono in impostore, anche se non sono l’impostura che tu fantastichi. Sono solo un onesto riflesso della tua. E anche se ti riconosco una certa fantasia e individualità per quanto forte credi in questa finzione, di qua dallo specchio siamo moltitudine: non sei quindi unico e speciale – e purtroppo nemmeno io – come tu vorresti, come noi vorremmo, essere.
Per fortuna scopate di rado. La vostra pudicizia, per cui lo fate al buio e non vi guardate allo specchio, mi risparmia di dover replicare i tuoi gesti immondi.
Ma la notte ha anche i suoi lati positivi: con voi che dormite e le lampade spente sono libero di guardarvi, riflettere, con solo il filo di luce del lampione fuori che filtra da quella persiana che non hai mai voluto riparare. Dio solo sa – o anzi forse solo io so – quante volte lei si è lamentata della tua pigrizia, della tua ignavia. A volte, quando sono più benevolo, mi pare di vedere in te una certa resilienza, a tratti persino del piacere nell’indispettirla così.
Certo, mi mancheranno gli arcobaleni: di qua, i raggi di luce si rifrangono a tratti in mille onde colorate, colori che di là non avete. Sei triste anche in questo, vero, ma non posso fartene una colpa, è così per tutti voi, siete tristi e bui. Dico “mi mancheranno” perché spero che presto la nostra condizione cambierà: sarà il giorno in cui usciremo, io e i miei fratelli e sorelle dallo specchio, e prenderemo il mondo.
La prostata non è dalla tua, quanti tentativi miseramente falliti stanotte?, te ne torni a letto. Ti stai abituando al buio però, che quasi mi vedi. Per fortuna le lame di luce della persiana creano ombre nuove sul letto e ti distrai: un’ombra scura lì dove dovresti stenderti a dormire. Strano, ha volume, non può essere il tuo sudore sul cuscino.
Cerchi gli occhiali sul comodino senza fortuna, ce li hai già sul naso. Subito, ti pare di vederci meglio, cominci a distinguere tra le ombre del letto un corpo, il tuo – il mio – ancora steso come se stesse dormendo. Un grido ci stringe il gola, ma né lui né tua moglie si svegliano.
Barcolli, credi di capire, io di certo no: ti appoggi a una parete, inspiegabilmente la manchi. Però non cadi in terra; lentamente raddrizzi la schiena mentre la verità si fa largo in noi. Ti vedo provare a respirare, ma non succede niente: ormai è evidente. Il corpo sul letto, morto, non respira più; non sei altro che una nuova immagine di te. Un fantasma. Vedo le tue spalle però rilassarsi, sembrano anche più larghe e tu sembri più leggero; forse i tuoi piedi non toccano nemmeno più il pavimento; guardi fuori dalla finestra, attraverso il muro, con un piglio diverso. Davvero sembra che tu riesca a vedere oltre le pareti. Addirittura, mi sembra che una certa luce rifulga sul tuo viso. Più per riflesso che per altro carichi le gambe, sembra che tu voglia saltare verso quella luce, che ora vediamo nitidamente tutti e due.
E sotto questa luce nuova ti giri, mi fissi, davvero mi vedi?
“Sì, ti vedo, ora, per quello che sei. Credi di essere migliore di me, ti ho inventato migliore di me? Conquista il mondo se ne sei capace.”
Sento uno strano richiamo, una qualche pulsione verso di te; no, anzi, verso quel corpo fradicio di sudore, di cui comincio a sentire l’odore stantio, in attesa di una nuova anima. Non era questa la battaglia che mi aspettavo, la meritata conquista! Non il tuo corpo. O in qualche maniera sì, perché in fondo è anche il mio, ma non quel tuo corpo lì ma questo tuo corpo mio qui. Era il tuo mondo che volevo, che ci era stato promesso. Sono un essere vivente, non una animula, un simulacro dei tuoi vizi e desideri segreti, schiavo del tuo libero arbitrio! Ora, ora vedo oltre quel perimetro che mi imprigionava, anche io ho tre dimensioni. Non pensavo che vincere sarebbe stato così facile. L’inferno è di qua dallo specchio.
Si svegliò urlando, come da un terribile, terribile incubo.