“Disavventure di un introverso” di Davide Predosin

La caffettiera è ancora calda. Anzi, è già calda. Appena vagamente sorpreso sbadigli in modo sguaiato. Non ricordi di esserti svegliato nel cuore della notte per farti un caffè. In ogni caso, dovrebbe essere fredda, ormai, la caffettiera.
La raffreddi sotto il rubinetto e prepari quello che parrebbe essere il tuo secondo caffè della giornata.
Tutto dovrebbe essere avvenuto non più di dieci minuti fa, pensi distrattamente.
Potresti aver avuto un episodio di sonnambulismo, continui, mentre con l’indice t’ispezioni una narice. Ma dovrebbe esserci almeno una tazzina sporca in giro, obietti, mentre compi tutt’attorno una lenta e svogliata panoramica.
Ti siedi inarcando con voluttà la schiena contro la spalliera della sedia.
Dovresti sentire, se non il gusto del caffè, almeno il gusto del dentifricio, o di qualsiasi altra cosa che possa averti rinfrescato la bocca; che invece è impastata, dal gusto sgradevole, come per chiunque la mattina.
Corrughi appena la fronte mentre ammetti che potresti anche prendere in considerazione l’ipotesi che qualcuno sia entrato in casa tua e, non più di dieci minuti fa, si sia fatto un caffè. Anche ammettendo, infatti, che tu l’abbia bevuto in uno stato di sonnambulismo – naturalmente lavando poi la tazzina – non avresti potuto riaddormentarti, sapendo quanto sei sensibile alla caffeina.
Naturalmente potresti anche semplicemente aver fatto il caffè, averlo versato nel lavello, aver risciacquato ed essertene tornato a letto beato.

Non conosci la sintomatologia del sonnambulismo. Non hai mai, fino a oggi, saputo di soffrirne. Ma ti aggrappi con tutte le tue forze a quest’ipotesi fino a quando, improvvisamente, non senti starnutire alle tue spalle. Ti si gela il sangue, ma non ti giri. Neanche quando senti un disinvolto ciabattare che sembra provenire dal corridoio che porta alla cucina. Deglutisci, ma non ti giri.
Ti versi un bicchiere d’acqua dal rubinetto e mentre sorseggi, senza muovere la testa di un solo millimetro, con la coda dell’occhio tenti di cogliere qualche indizio.
Per capire chi mastica in maniera così disgustosa, chi ha ruttato, chi inspira a denti stretti producendo quasi un fischio; come per togliersi un pezzo di cibo incastrato tra i denti.
Non dividi l’appartamento con nessuno.
Nessuno ha le chiavi.
Non hai passato la notte con nessuno. E lo sai, ieri hai bevuto una tisana e sei andato a letto presto.
I rumori continuano. Il caffè è venuto su, spegni il gas e rimani immobile, di spalle. Ma quando una voce roca e baritona con la s pronunciata con la lingua tra i denti, ti chiede: — Tscutsi potrei averne un’altra tatsina? — tu non riesci a far altro che assecondare questo desiderio.

Avevi sentito dire che spesso la paura fa comportare le persone in maniera imprevedibile. Un altro, magari, pur anch’egli terrorizzato, si sarebbe girato di scatto con la caffettiera bollente in mano e avrebbe colpito in pieno volto l’intruso con la s sibilata.
Tu, invece, mansueto e obbediente, non alzi nemmeno lo sguardo; tieni gli occhi bassi e aperti, giusto il tempo di centrare la tazzina e scorgere appena la manina cicciottella e pelosa che la regge e trema leggermente. Quindi distogli lo sguardo verso la finestra, e lo tieni fisso sulle serrande ancora abbassate.
Magari hai tutti i capelli bianchi, ma siccome sei un tipo timido e introverso, anche quando ti senti rispondere: gratsie tstronzo, ti tieni tutto dentro, non chiedi spiegazioni e, chiunque sia, speri solo che se ne vada presto.

[racconto tratto da “Alcuni stupefaceni casi tra cui un gufo rotto” di Davide Predosin, Gorilla Sapiens Edizioni 2014]

Gorilla Sapiens - Copertina gufo_rotto--

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