La sera che ho deciso di bloccare la strada, le nuvole sembravano un soffitto a intermittenza.
Conosco a memoria il meccanismo di questo semaforo. Il verde per i pedoni scatta solo a chiamata ma blocca tutto l’incrocio. Per circa una decina di secondi nessuno è autorizzato
a fare una mossa. Sono attimi di sospensione, dove fai un resoconto generale non approfondito delle cose. Sei davvero sereno perché sai che non durerà e che non è il caso
di soffermarsi ad analizzare quel leggero spasmo nervoso che ti affiora sul collo quando distendi le mani sul volante. I dieci secondi ti servono a risistemarti, riprendere la postura che ti pare adatta a creare una continuità morbida con il tuo sedile. Stai pregustando qualcosa che ancora ti sfugge. Ma ogni ostacolo mentale verrà presto rimpiazzato da un qualcosa di solido, tangibile e disarmonico.
Il bagagliaio è già carico di tubi, la base di un ombrellone, mattonelle, la nostra bandiera e ostacoli vari rubati nei cantieri da Duarte. Abbiamo una grande confusione nel bagagliaio. Duarte è d’accordo, lui è sempre d’accordo su tutto. Anche se gli dicessi che dopo bisogna disfare tutto, lui sarebbe d’accordo. Anche quando lo chiamo pigliainculo lui è d’accordo. Non fa finta di niente, è proprio d’accordo. Metto in moto mentre il buio ci piomba definitivamente addosso e le nuvole si rassodano in cielo.
I primi ostacoli li ha posizionati lui, due barriere arancioni alte un metro e mezzo circa. Le ha messe di traverso, occupando mezza carreggiata, partendo da destra. Non gliene importa nulla a Duarte di costruire un castello dalle fondamenta. I primi automobilisti neanche ci hanno fatto caso. Semplicemente evitavano le barriere con una lieve sterzata.
Sembrava la ritenessero una situazione consueta, qualcosa che avevano già visto e che non meritava un’eccessiva attenzione. Nello schema mentale standard è proprio così che
cominciano i lavori sulle strade e una piccola deviazione è tutto sommato accettabile se è anticamera del progresso. Dall’altro lato della strada, ho chiamato il semaforo pedonale,
atteso il verde e aperto il bagagliaio. Una decina di tubi di ferro sono rotolati sulla strada. A prima vista non hanno preso una direzione precisa e si sono sparpagliati lungo entrambe le carreggiate, obliqui ma ben visibili. Un taxi era fermo al semaforo pedonale e quando è scattato il verde non si è mosso. Qualcosa stava succedendo. Ho preso le mattonelle dal bagagliaio e le ho sistemate una sopra l’altra partendo dal marciapiede verso il centro strada. Il tassista ha abbassato il finestrino. Era nero e non aveva un’espressione particolare. Io ho allargato le braccia per scusarmi del disagio. Duarte nel mentre mi aiutava a scaricare altre mattonelle. Un auto proveniente da sinistra guidata da una donna con gli occhiali si era bloccata davanti ad alcuni tubi. Posizionavo le mattonelle una sopra l’altra, volevo farle arrivare fino agli ostacoli di Duarte. Sono giunte altre auto. Una Ford guidata da un ragazzo in camicia si è fermata molto vicina a un ostacolo. Il ragazzo che la guidava ha suonato istintivamente il clacson, ma in modo decisamente troppo lieve per avere un seguito. Le altre auto non potevano che accodarsi a chi si era fermato. Io e Duarte, costruito il blocco, ci siamo presi una pausa a bordo strada. Continuavano ad arrivare automobili e probabilmente le ultime della fila non avevano neanche idea che la strada fosse bloccata. Nessuno poteva lamentarsi. Il blocco era un dato di fatto. Duarte era d’accordo. L’ennesima sconfitta del libero arbitrio, ha detto. Al centro dell’incrocio c’era un segnale rotondo di vernice bianca ed è lì che abbiamo deciso di mettere la nostra bandiera. Prima che qualche guidatore dalle retrovie perdesse la testa, stanco di quei dieci secondi prolungati in eterno, la base dell’ombrellone stazionava già a centro incrocio. La nostra bandiera è azzurra, con una croce bianca al centro. Ho infilato il bastone appuntito nella base mentre Duarte rifiniva gli spazi. Ora una pioggia lieve batteva sui parabrezza delle automobili e la nostra bandiera sventolava lentamente. Ci siamo seduti a centro strada. Duarte era con me, lui è sempre con me, al mio fianco. Siamo l’entità che controlla questo posto.
[tratto dall’omonima raccolta di racconti “La sera che ho deciso di bloccare la strada” di Walter Comoglio, Gorilla Sapiens Edizioni]