“L’interruzione sta sempre in agguato” di Gorilla 3

Mi è stato detto una volta da una signora che guardava i nostri libri, che non era interessata alle raccolte di racconti, “perché – ha argomentato – non mi piace essere interrotta”. Nonostante questa affermazione, a rigor di logica, non abbia molto senso, probabilmente chiunque può comprenderne il significato: quello che non le piace è che un libro, ossia quello spazio fisico compreso tra copertina e quarta, possa contenere più di una storia, più di un gruppo di personaggi tra loro narrativamente collegati. Mi affascinava però che la signora si fosse appellata al concetto di interruzione per esprimere questa idea. Ci si può ragionevolmente chiedere in cosa consista questa interruzione; come se il continuo susseguirsi di inizi e fini fosse un interpolarsi di interruzioni nel corso di un ipotetico unico racconto che pur bisogna presumere esista persino in una raccolta di racconti.

Nel romanzo l’unicità non è presunta ma fattuale. La narrazione ha nel romanzo un valore performativo: crea dall’unione di eventi di varia natura una storia unica dotata di senso. Gli eventi non sono vari solo nella natura, ma anche nel giudizio/percezione che se ne può dare/avere, intendo dire che li si può trovare belli brutti noiosi appassionanti meritevoli di attenzione o soprassedibili. Ma al di là di quello che il lettore ne possa pensare, qualsiasi evento incluso in un romanzo ha un valore funzionale necessario all’interno della storia. Motivo per cui spesso capita, almeno a me, lettore svogliato, di perdere le fila della storia perché mentre il narratore ci raccontava un evento che si è trovato noioso, la distrazione è intervenuta a operare un’interruzione. Calvino diceva che se il racconto al contrario del romanzo può raggiungere forme di perfezione è perché si tratta di una narrazione concentrata, il romanzo invece è sempre suscettibile di ospitare tempi morti. È in questi tempi morti che si attiva il meccanismo dell’interruzione; essi agiscono come insenature e interstizi in cui la realtà (chiamo realtà l’insieme delle narrazioni esterne al libro che si sta eventualmente leggendo) si intrufola a interrompere la lettura del romanzo.

La raccolta di racconti si può dire agisca in maniera uguale e contraria. Invertendo il rapporto realtà-dentro-il-libro/realtà-fuori-dal-libro, il racconto si può immaginare agisca come un’interruzione alla narrazione della realtà-fuori-dal-libro, assumendo funzione attiva nel meccanismo di interruzione/distrazione che sottende alle relazioni tra piani narrativi diversi, e ciò perché il racconto, in virtù della sua dimensione, contiene la potenzialità per una lettura che proceda ininterrotta dall’inizio alla fine del suddetto (per quanto si ammette che questa interpretazione contenga una percentuale di presunzione sulla modalità di lettura del racconto).

Mi piace allora interpretare l’affermazione della signora alla luce di questa prospettiva, e stravolgere completamente quell’opinione così malamente espressa immaginando che quello che la signora non riusciva a tollerare fosse la presenza sulla sua scrivania, o sul suo comodino, o nella sua borsa, di una raccolta di piccole potenziali interruzioni a quella narrazione romanzesca con cui si tenta di dare continuità alle proprie giornate.

(Gorilla 3)

*Altri articoli di Gorilla 3 alla pagina Lezioni di filosofia applicata

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