… da Gorilla Sapiens Edizioni: “La canzone dell’estate” di Alessandro Sesto

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Ogni primavera l’industria discografica sguinzaglia per le radio un manipolo di canzoni di merda che parlano di gelati o del fatto che fa caldo, e queste a turno diventano la canzone dell’estate con ricaduta di fama e denari per gli autori. Allora anche noi decidiamo di scriverne una, suonarla alle sagre e ai matrimoni, e puntare sul miracolo del passaparola. Vogliamo che la nostra sia un’operazione commerciale senza scrupoli, il piano di quattro menti superiori e il loro amico tastierista che analizzano scientificamente i bisogni musicali estivi dell’uomo medio, dissezionano i processi neurali che portano dalla percezione del suono alla sensazione di piacere, e infine diventano ricchi e potenti con un reggae sulle banane. Così stabiliamo una serie di punti cardine del pezzo: lieve surrealismo goliardico, più Mucca e Pollo che Il pasto nudo, sonorità caraibiche e/o africane, struttura strofa, strofa, ponte, ritornello, dove il ponte sarà un folle crescendo stile tarantella durante il quale la gente potrà finalmente lasciarsi andare dopo le tante costrizioni dell’inverno, e infine un elemento di originalità ancora da decidersi. Il chitarrista propone un riff in levare alla Bob Marley, che poi è la reggaeizzazione di una delle sue ballate per la tipa che non gliela dà. È il genere di riff che evoca pisolini sotto i palmizi e facili soluzioni ai problemi del mondo e così lo accettiamo, spostando il problema dell’elemento caratterizzante sul testo. A questo punto ci dividiamo in due squadre, chitarrista cantante e tastierista che curano sviluppo melodico e arrangiamenti, bassista e io che ci occupiamo delle parole. — Ricordate l’originalità —, ci fa il chitarrista mentre spartisce le birre sui due tavoli di lavoro. — Certo, e voi ricordate la banalità —, rispondiamo noi. — Per quello tranquilli —, chiude lui. Rimaniamo soli al tavolo e il bassista mi fa:
— Senti se per l’originalità facciamo che l’estate è una merda? Nel testo.
— Eh non so. Perché?
— Pensavo, poi tu dici se secondo te è un’idea, che ci sono gli adolescenti sfigati che odiano l’estate no? Perché con l’estate si devono spogliare e ci perdono e allora noi puntiamo su quel target. Poi sono quelli che ascoltano di più musica, che non hanno altro, e allora secondo me sono anche un bel pubblico che compra.
— Sì però non è che possono gradire che nella canzone dici che hanno paura a spogliarsi, perché così non è possibile l’identificazione positiva, no?
— Eh?
— Sì, intendo, una mentre ascolta una canzone vuole anche sognare un poco, ad esempio che lei è figa in spiaggia e arriva un surfista figo, lo conosce e dopo c’è tutta una storia, magari anche triste, così trasferisce il suo senso di malinconia per l’estate in un qualcosa di più esaltante della realtà, tipo si immagina che piange perché il surfista che ha conosciuto dopo se lo è mangiato uno squalo, mentre sotto sotto piange perché metti ha i baffi che non vanno via, ma così il suo pianto è come nobilitato, no? È una strategia per sopravvivere, lo facciamo tutti. Invece così con la tua idea vai proprio a impedire che una sogna durante la canzone, e allora la canzone non serve più. E se uno è un maschio ovviamente lo stesso ma al contrario, tipo che è lui il surfista nel sogno a occhi aperti ma in realtà non gli crescono i baffi e piange per quello, o qualcosa di simile.
— Sì sì certo ho capito, a parte che i baffi però si vedono anche di inverno.
— Eh lo so dicevo per fare un esempio, allora fai ciccioni invece che persone con problemi di baffi, non cambia niente. Poi comunque l’estate è anche la stagione in cui si deve conoscere gente e avere avventure romantiche e quindi se uno è sfigato in quel dipartimento è un problema anche al di là di doversi spogliare in spiaggia.
— Sì vero ma poi io non è che volevo metterla così brutale, volevo che fosse l’estate è volgare e non mi piace perché ho una sensibilità superiore, no che non mi piace perché non mi voglio mettere in costume o cercarmi una.
— Ah l’astuzia.
— Certo, l’astuzia.
Proponiamo la nostra idea all’altro tavolo, gli altri interrompono i loro pettegolezzi da parrucchiere sulle band della scena veronese e ci ricordano che non siamo i Green Day ma una cover band che suona ai matrimoni, il cui pubblico è costituito da trentenni che non vedono l’ora di andare a Formentera ad applaudire tramonti mentre si gonfiano di cuba libre. Quindi, no. La nostra commissione testi viene sciolta, il cantante affianca il bassista per normalizzarne lo sforzo creativo, e mentre il tastierista si allontana per telefonare a una tipa russa, io e il chitarrista ci sediamo davanti a delle gigantesche lattine di birra del discount, con il compito di individuare quali percussioni possano dare un tocco di simpatia balneare al brano. Il chitarrista fa:
— Oh hai sentito ieri di Fiorenzo?
— No cosa?
— Non puoi credere.
— No dai che ha fatto?
— Niente, eravamo tutti alla Pergola per la cena di merda dell’ufficio e lui, nella giostra mortale dei posti a sedere che fai quando arrivi al tavolo, era finito seduto vicino a quella che sembra un tucano, hai presente?
— No, anzi aspetta sì ora mi viene in mente, quella avvocato che qualsiasi domanda le fai dice sempre dipende e non sa mai un cazzo.
— Eh, lei. Comunque era seduto lì che non poteva discorrere di cellulari come fa di solito e allora ha bevuto un litro di rosso da solo, e dopo ha fatto tutto un monologo di come lui ha i suoi difetti, tantissimi difetti, una roba mostruosa, li ha elencati ed è venuto fuori tipo un incrocio tra Hitler e un porco selvatico, ma alla fine anche con tutti quei difetti è meglio di noi, perché ha un cuore grande. Proprio così. Questa roba poi l’ha ripetuta mille volte tutta la sera finché i camerieri ci hanno chiesto se per gentilezza potevamo accompagnare cuore grande fuori dai coglioni che a quell’ora avrebbero anche chiuso da un pezzo.
— Eh appunto un cuore grande con cui si perdona i suoi difetti, tutto quadra, è come i forni autopulenti. Vabbè. Aspetta ma senti meglio di noi chi? Di noi voi dell’ufficio o di noi noi del gruppo?
— Di noi noi! Del gruppo.
— Di noi noi? Ma perché ma che cazzo vuole?
— Di noi noi è meglio, di noi noi.
— Ma chi gli ha fatto niente.
— Eh sì invece, e tutto perché abbiamo detto che non suoniamo alla sua festa di compleanno, e allora ce la tiriamo e chi ci crediamo di essere, e lui non avrebbe mai detto no a parti invertite e poi alla fine ci faceva un favore lui a noi che se no non suoniamo da nessuna parte. Firmato Fiorenzo cuore grande.
— Lo avevo pensato che era per quello.
— Credevamo che non era niente e invece è stato gravissimo e ora ci odia e ovviamente non siamo invitati.
— Eh già.
— Beh meglio, no?
— Una sega meglio, che c’era anche Brigitta. Cioè pazienza però che sfiga.
— Meglio al cubo invece che così ti eviti qualche altra figura da mona.
— Eh sì comunque secondo me quelli che fanno ste feste faraoniche di compleanno sono il peggio, voglio dire, compi gli anni e va bene, chi se ne frega, neanche tu dovresti fregartene se avessi un minimo concetto di come funziona l’universo, e invece loro hanno come una mistica di loro stessi, danno un valore magico a dei fatti proprio assolutamente del cazzo e del tutto casuali, tipo come si chiamano o quello che facevano i loro antenati o se magari un attore famoso gli somiglia o appunto il giorno che sono nati e se era l’anno del facocero o del pappagallo, tutte queste cose qua, e agli altri poi tocca partecipare ai riti della loro religione solipsista mongoloide. Anzi dopo neanche ti invitano addirittura.
— Sì certo sono pazzi a festeggiare il compleanno, cioè, è una roba mai sentita.
— Magari mi propongo per suonare da solo la marimba così posso andarci. Voi non capite la figura dell’eroe romantico dostoevskiano che insiste anche se non ha speranza di guzzare.
— Eh ma mi pare che neanche Brigitta la capisce e poi neanche suo moroso.
Mentre discutiamo questi fatti arriva il cantante e ci fa se abbiamo combinato qualcosa, così il chitarrista dice che avevamo pensato di puntare sulla marimba e lui sa dove scaricarne una sintetica da Internet, e il cantante addirittura annota marimba sul foglietto dove hanno trascritto il loro lavoro. Si aggrega anche il tastierista che rifiuta di riferire su scopi ed esiti della sua chiamata alla tipa, e così visto che siamo al completo il bassista preannuncia che per le parole del pezzo hanno scelto il sistema dell’enumerazione che consiste nel fare, più che delle affermazioni, un elenco di parole, e che questa forma musicale è antichissima e ne parlano tutti i testi di antropologia musicale, basandosi su una canzone appunto enumerativa degli indiani Luiseno della California meridionale, la cui incontaminatezza è però messa in dubbio dal fatto che vi ricorra la parola bourbon. Gli chiediamo se la pianta di dire cagate e allora fa che lui intanto ha buttato giù un inizio per dare un’idea ma magari poi la cambiamo, e così ci mostra il foglietto, che recita:
quest’anno nessuno
parte per il mare
e pure nessuno
resta in città
a girare per le
strade deserte
perché quest’anno non
c’è l’estate

e poi resta in silenzio. Noi cerchiamo con lo sguardo il cantante, che doveva controllare, ma quello fa una faccia tipo che non ha potuto fare nulla e se lo aiutiamo, allora il chitarrista dice che anche se non c’entra con quello che avevamo detto va bene, ma suggerisce di farla in inglese così c’è più mistero, io osservo che non vedo l’enumerazione ma magari si fa nelle strofe dopo, poi il tastierista mette fine alle questioni dicendo che quella roba andiamo a cantarla noi in California coi Luiseno se vogliamo, ma lui si vergogna a farla in giro a Verona dove conosciamo anche gente. Sembra l’iscrizione di una lapide, aggiunge. Il bassista non si difende, fa che per lui è un periodo un po’ così, insomma, e gli è uscito quello, ma se vogliamo la facciamo noi più goliardica o come preferiamo. Questo un po’ ci agita perché forse è una cosa troppo personale, anche se ci vediamo quasi tutti i giorni da anni è troppo personale lo stesso, e poi è chiaro che il gioco è finito, così siamo un po’ imbarazzati e immalinconiti, e allora faccio:
— Secondo Fiorenzo siete tutti stronzi perché non volete suonare al suo compleanno.

[capitolo tratto da “Lascia stare il la maggiore che lo ha già usato Beethoven” di Alessandro Sesto, Gorilla Sapiens Edizioni, maggio 2015].

Senape

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