Racconto: “Miss Saliva” di Filippo Parodi

Faceva la preziosa, dilatava irragionevoli ritardi, quella sera. Sostavamo tutti quanti su tessuti logori, tappeti sbilanciati, e io così lontano, troppo, da qualsiasi maniglia. Mi mancava la solerzia, una condotta, dunque l’aspettavo. Sarebbe comunque venuta a ricompormi. Un’altra volta a salvarmi. Ma intanto mi osservavano, oh se mi osservavano: potevano contarmi i peli nelle orecchie. Dopo tanto concitato blablablare era all’improvviso planato un silenzio d’attrito stantio. Espressioni nebulose circumnavigavano, dubbiose se scoppiare in vermiglie risate o in fracasso di pianto. Se in effetti qualcuno avesse attaccato a frignare, Lei sarebbe ritornata prima, magari… e se in mezzo a moltitudini di corpi pesanti stravaccati, almeno Uno avesse preso in braccio – non dico addirittura allattato – indispettita, la capricciosa Diva sarebbe penetrata nella densità di stanza ormai pregna di putrefazione. Invece tutt’intorno un tacere dilagante, ognuno pressoché a galleggiare nella propria audiolesa Coney Island. In tal modo lontano, troppo, da qualsiasi approdo, iniziai a ripercorrere gli involucri, dal più ampio recente definito fino all’ancestrale fetale originario: “Mammina, dimmi, come mai?”
E mammina dallo sterno mi rispose: “Ma bambino mio, non avresti dovuto aspirare!”
Erano bastate soltanto due boccate. Adesso trattenevo tra le labbra la speziata arsura, la mia prigione gialla. Nella gola, piumata una pallottola d’infanzia: “Gesù, un bicchiere d’aria!”
E Gesù mi percosse da un conato di croce: “Alzati e cammina!”
Mi sarei dovuto raddrizzare e avrei sfiorato, strusciato… si sarebbero accorti maggiormente di me. Avrebbero captato, al di là dei miei denti, il plumbeo confettino, la sciagura inaridita che occludeva e ottenebrava insomma la Sua Assenza? Ma dove era finita, La Strepitosa Intoccabile Diva? Come poteva tradire, beffeggiare, Lei che aveva sin dal primo istante nutrito e sempre consentito, bene o male, di essere e di stare? Perché poi voleva tanto farmela pagare? E perché mossi la testa, oscillai in diniego, quando un palmo che non era certo il mio decise di allungarmi un sorso guasto e affabile di vino? Loro appannati, loro che si masturbavano le tempie e si stropicciavano nell’imbuto di una vana e agra…
Fantasmagoria. Appena sanguinante, quel tappo di bottiglia rotolò dalle mie parti. Lo rubai per farne un labirinto, un fortino di scatole cinesi, quindi un ponte gracile, infine una barchetta. Nel momento in cui, con ponderatezza, cominciai a veleggiare, tra gli amplessi di una confortevole foschia, riconobbi la mia Star. Con sorriso sprezzante, senza che nessuno la notasse, si avvicinò, mi schioccò sulla faringe un lungo bacio liquido, il bacio della blanda eternità. Fu così che finalmente ripresi a deglutire.

(Filippo Parodi)

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