Racconto: “La relazione” di Carlo Zambotti

1. Mani
Un ramo di rovi che sporgeva da un cespuglio lungo il sentiero ferì la mano destra del bebè in carrozzina. Quando il bambino fu uomo, la cicatrice era sparita e l’episodio dimenticato.
2. La signora
La signora, un puntino molto bianco nel prato molto verde, laggiù, stendeva lenzuola al filo teso tra i pali, rivolta alle tombe del cimitero, lassù, sulla collina di fronte.
3. L’uomo
L’uomo dal volto animalesco e il passo distrutto inseguiva forse un gatto indeciso e civettuolo, imprecando fra sé per il bastone perduto.

4. Il discorso
“Lettere che formano parole che formano pensieri. Razza disgraziata quella a cui mi hanno assegnato, costretta in uno spazio mentale grande quanto un cavolfiore o poco più. Poco per farci entrare il mondo, la vita, le cose, i sogni e tutto. Eppure sembra esserci spazio per tutto, essendo quel cavolfiore autoreferenziale – e quindi già un tutto, quello stesso tutto. Solo che quando si va a prelevare qualcosa da lì – che sia un colore già visto, una nota ancora non sentita, un giradischi rotto o un tavolo da riunione, poco importa – l’unico modo per farla uscire è tradurla. E si sa, per quanto esperto e sensibile il traduttore, in traduzione qualcosa si perde: l’originalità. Per fortuna ogni fruitore della traduzione sovrappone la propria, di originalità, a quella perduta nel passaggio. Ecco così nascere qualcosa di nuovo: ibridi e vie di mezzo, cioè la condanna e la gioia di questa razza a metà fra bestia e dio, tutto e niente, bianco e nero e tutte le coppie di opposti che vengono in mente. Di continuo. Uno evocato dall’altro. Un motore a due tempi coincidenti che non va da nessuna parte, ma che produce: inquinamento, ricordi, fiori fatti con le calze di nylon, medicine, compassi, fraintendimenti. Cose utili, dicono, tutto grasso che cola, materiale di lavoro. Se diventare grandi significa riempire le parole vuote – con esperienza e corpo – allora diventare piccoli significa svuotare le parole già riempite, per riempirle di nuovo e poi svuotarle. Da grande a piccolo e viceversa. Che sia ciclico o lineare, poco cambia: è un movimento simile al respiro, fatto di pieno e di vuoto, e lo chiamano tempo. Causa e effetto ne sono i genitori. Così li hanno battezzati, così hanno riempito quelle parole, che se svuotiamo e riempiamo di nuovo ci rivelano che: non solo l’effetto dipende dalla causa, ma anche la causa dall’effetto. Il che fa saltare il tempo; cortocircuito si dice in questi casi. E cioè: avanti e indietro diventa avanti è indietro. (Oggi e domani diventa oggi è domani, anche). Quindi? Il tempo non esiste, tutto è stato e anche è e sarà. Così sarò un bambino e sono stato un vecchio e sono io. Altro non ricordo.”

Così si concludeva la relazione, che finì di leggere con le guance rosse e gli occhi brillanti. Nessuno – compreso lui stesso – ci aveva capito niente e questo è tutto quello che c’è da dire sulla vita in questo mondo. Questo, e che la donna col vestito a fiori seduta in seconda fila avrebbe cucinato cavolfiori al vapore per cena.

(Carlo Zambotti)

Giallo g

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