1. Mani
Un ramo di rovi che sporgeva da un cespuglio lungo il sentiero ferì la mano destra del bebè in carrozzina. Quando il bambino fu uomo, la cicatrice era sparita e l’episodio dimenticato.
2. La signora
La signora, un puntino molto bianco nel prato molto verde, laggiù, stendeva lenzuola al filo teso tra i pali, rivolta alle tombe del cimitero, lassù, sulla collina di fronte.
3. L’uomo
L’uomo dal volto animalesco e il passo distrutto inseguiva forse un gatto indeciso e civettuolo, imprecando fra sé per il bastone perduto.
4. Il discorso
“Lettere che formano parole che formano pensieri. Razza disgraziata quella a cui mi hanno assegnato, costretta in uno spazio mentale grande quanto un cavolfiore o poco più. Poco per farci entrare il mondo, la vita, le cose, i sogni e tutto. Eppure sembra esserci spazio per tutto, essendo quel cavolfiore autoreferenziale – e quindi già un tutto, quello stesso tutto. Solo che quando si va a prelevare qualcosa da lì – che sia un colore già visto, una nota ancora non sentita, un giradischi rotto o un tavolo da riunione, poco importa – l’unico modo per farla uscire è tradurla. E si sa, per quanto esperto e sensibile il traduttore, in traduzione qualcosa si perde: l’originalità. Per fortuna ogni fruitore della traduzione sovrappone la propria, di originalità, a quella perduta nel passaggio. Ecco così nascere qualcosa di nuovo: ibridi e vie di mezzo, cioè la condanna e la gioia di questa razza a metà fra bestia e dio, tutto e niente, bianco e nero e tutte le coppie di opposti che vengono in mente. Di continuo. Uno evocato dall’altro. Un motore a due tempi coincidenti che non va da nessuna parte, ma che produce: inquinamento, ricordi, fiori fatti con le calze di nylon, medicine, compassi, fraintendimenti. Cose utili, dicono, tutto grasso che cola, materiale di lavoro. Se diventare grandi significa riempire le parole vuote – con esperienza e corpo – allora diventare piccoli significa svuotare le parole già riempite, per riempirle di nuovo e poi svuotarle. Da grande a piccolo e viceversa. Che sia ciclico o lineare, poco cambia: è un movimento simile al respiro, fatto di pieno e di vuoto, e lo chiamano tempo. Causa e effetto ne sono i genitori. Così li hanno battezzati, così hanno riempito quelle parole, che se svuotiamo e riempiamo di nuovo ci rivelano che: non solo l’effetto dipende dalla causa, ma anche la causa dall’effetto. Il che fa saltare il tempo; cortocircuito si dice in questi casi. E cioè: avanti e indietro diventa avanti è indietro. (Oggi e domani diventa oggi è domani, anche). Quindi? Il tempo non esiste, tutto è stato e anche è e sarà. Così sarò un bambino e sono stato un vecchio e sono io. Altro non ricordo.”
Così si concludeva la relazione, che finì di leggere con le guance rosse e gli occhi brillanti. Nessuno – compreso lui stesso – ci aveva capito niente e questo è tutto quello che c’è da dire sulla vita in questo mondo. Questo, e che la donna col vestito a fiori seduta in seconda fila avrebbe cucinato cavolfiori al vapore per cena.