Racconto: “In chiesa” di Davide Predosin

Ho scelto un giorno festivo importante, per tornare in chiesa.
Con un balzo mi sono issato sul banco e, in mezzo al brusio generale – le innumerevoli nuche che si trasformavano in visi, fronti e bocche spalancate – sono schizzato verso l’altare saltando da un banco all’altro, puntellato sui fedeli più tarchiati; troppo sorpresi per reagire, troppo educati, forse, per fermare la mia corsa.
Avevo già calcolato tutto. Più volte, di sera, nell’ultimo mese – i prelati in canonica, i praticanti a casa, a ingozzarsi a cena – mi allenavo a saltare da un banco all’altro. Perfezionando i miei passi a corpo libero, irrobustendo i muscoli degli arti inferiori.
Conosco esattamente il tempo necessario a percorrere la struttura deserta, ma non quello per farlo quando la congregazione è riunita. Essi mi ostacoleranno, pensavo. Non mi permetteranno di raggiungere l’altare. Per questo, ogni sera, cercavo di migliorare i miei tempi; per essere più veloce del sentimento che sapevo li avrebbe accecati.
Nonostante l’agilità e la leggerezza che contraddistinguono la mia fuga, non è facile. Non è facile, nonostante sgattaioli in punta di piedi con la precisione di un compasso; misurando guardingo lo sconcerto del prelato sempre più vicino, la gioia dei chierici più giovani – non è facile, punto. E quasi dispero quando tentano di afferrarmi le caviglie, di aggrapparsi invano ai miei capelli freschi di piastra; ai miei abiti, come fossero civili.
Ma non lo vedete, urlo tra me e me, guadagnando il decimo banco, non lo vedete cosa indosso, miei devoti amici? Possibile non abbiate ancora notato la mia aerodinamica calzamaglia sintetica? Possibile non capiate che non potete che abbattermi platealmente? Che non potete – non più, ora no, non potete – essere buoni?
Imbracciate dunque i vostri più lunghi accendi candela, branditeli ad altezza banco, disarcionate e spazzate sugli stinchi il fellone che mina il vostro pio raccoglimento.
Soprattutto lei, reverendo, faccia una buona volta roteare quel suo doppio incensiere a catena, lo usi per sventare l’unica minaccia che incombe sull’eucarestia. Sulla carta solo un sedicente sprinter afroamericano ansioso di raggiungere il pulpito, ma lì, sull’altare, chissà, forse intenzionato a combinarne di cotte e di crude.

(Davide Predosin)

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